Gli enti gestori dei patrimoni delle comunità di abitanti nelle singole realtà territoriali (tratto dalla voce usi civici dell’Enciclopedia Treccani). Collegamento con i Domini Collettivi della legge 20 novembre 2017 n. 168.
Importanza dei domini collettivi o patrimoni delle comunità di abitanti
1. Nel sistema socio economico attuale è essenziale il mantenimento e la difesa dei patrimoni di proprietà delle collettività o comunità originarie di abitanti o domini collettivi, soprattutto dei patrimoni che hanno mantenuto la natura agro-silvo-pastorale. Si tratta ancor oggi di patrimoni di consistenza rilevante, che le comunità proprietarie gestiscono a mezzo i propri organi in conformità dei regolamenti locali, statuti deliberati in assemblea e norme consuetudinarie. E’ intervenuta ora la legge 20.11.2017 n. 168 sui Domini Collettivi che ha riconosciuto espressamente che gli enti esponenziali delle collettività “titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva hanno personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria” (art, 1, 2°co., l. n. 168/2017). Quindi gli enti gestori dei patrimoni della comunità che in passato hanno avuto denominazioni e qualifiche e regimi giuridici para-pubblici sono ora ex lege associazioni giuridiche di diritto privato e devono costituirsi e gestire i patrimoni dei Domini Collettivi a norma del codice civile.
Il legislatore ha così superato l’inattività delle Regioni nell’attuazione della legge cd. Montagna n. 97/1994 prevedeva che le Regioni avrebbero dovuto provvedere a stabilire le modalità specifiche per conferire la personalità giuridica di dirito privato agli enti gestori (art. 3, l. n. 97/1994 cd. Legge Montagna).
Il legislatore ha individuato, al 4°co., l. n. 168/2017, due diverse modalità di amministrazione e di gestione dei patrimoni collettivi e i diritti di uso civico delle comunità titolari, l’una definita “ordinaria”, l’altra “residuale”. La gestione ordinaria è quella dei Domini Collettivi, che come detto sono associazioni di diritto privato con piena autonomia statutaria. Dove non esistono gli enti esponenziali delle comunità, la legge n. 168/2017 affida la gestione ai COmuni con amministrazione separata. Questa modalità “residuale” fa sì che il Comune deve gestire i beni collettivi in modo funzionale a garantire la perpetua destinazione agro-silvo-pastorale dei beni. Il Comune ha quindi l’obbligo di destinare tutti i proventi della gestione al miglioramento dei beni collettivi, amministrandoli con un bilancio separato, e dovendo rispettare il vincolo a non usare i beni civici in modo difforme dalla loro destinazione.
La legge riconosce anche alle popolazioni interessate la facoltà di costituire i comitati per l’amministrazione separata dei beni di uso civico frazionali, ai sensi della l. 17.4.1957, n. 278.
L’Amministrazione separata frazionale dovrà dotarsi di un proprio statuto autonomo che tenga conto delle specificità dei beni collettivi che deve gestire.
Il modo di gestire ed il rapporto possesso /comunità titolare è diverso nelle singole realtà territoriali e dipende dal contesto storico di ciascuna zona. Può dirsi che le forme di gestione collettiva dei patrimoni delle comunità originarie sono sopravissute, anche se con tecniche e modalità attualizzate, soprattutto nelle aree interne e nelle zone rurali. Ma va anche detto che la crisi delle imprese di diritto comune ha riacceso l’interesse sulla realtà delle gestioni collettive.
In Italia vi è stata sempre una diversità sostanziale tra il modo di gestire i beni delle comunità nelle regioni del Nord e del Centro rispetto alla gestione dei demani civici nelle regioni meridionali. Nelle aree montane e nelle vallate delle regioni settentrionali, le comunità locali fin dall’origine si sono costituite in associazioni formate dalle famiglie originarie, con propri organi, regolamenti e statuti e continuano a gestire il patrimonio antico secondo le norme consuetudinarie, con i necessari adattamenti e modalità prescritte dalle legge regionali, Le più note sono le Regole del Veneto, le consorterie del Piemonte e Valle d’Aosta, le comunelle del Carso, le Vicinie del Friuli, etc. e gli enti indicati all art. 3 della legge montagna n. 97 del 1994)
Anche nel Centro Italia le comunanze agrarie dell’Umbria hanno gestioni separate e molto attive, così come le associazioni agrarie e del bestiame delle Marche. Le Università agrarie del Lazio ed ex stati pontifici, riconosciute come persone giuridiche con finalità di impresa dalla l. 397 del 1894, hanno avuto una vita più travagliata. Molte sono state sciolte col sopravvenire della legge del 1927 che ha privilegiato le quotizzazioni delle terre atte a coltura e la concessione delle quote a titolo di enfiteusi con canone affrancabile in modo da formare piccole proprietà contadine.
In Toscana, dopo la riforma del duca Leopoldo a fine 700 che intendeva azzerare le proprietà delle comunità rurali e modernizzare il settore per dare attuazione alle nuove tecnologie agrarie, è intervenuta ora la legge regionale del 2014 n.27 che consente la costituzione delle nuove Asbuc con un procedimento abbastanza complesso e allargato a tutti gli utenti.
Nell’Italia meridionale, invece, non si sono mai avute gestioni autonome e separate da quella dell’ente comune, il comune ha sempre rappresentato gli utenti civici e gestito i beni della comunità con bilanci separati. I beni della comunità costituiscono il cd. demanio civico, da dominium dei cives o universitas civium. Espressione usata nella tradizione meridionale per indicare l’intera categoria delle proprietà collettive.
2. Consideriamo ora i principali sistemi di gestione delle proprietà collettive nelle diverse aree territoriali, tra le quali, in particolare, il Comune, anche se la gestione del comune è residuale, cioè il Comune gestisce i beni della comunità di abitanti, quando non vi è una gestione autonoma e separata; l’amministrazione separata frazionale e l’amministrazione separata dei beni civici (ASBUC), le associazioni e università agrarie, le comunanze agrarie, le partecipanze, soprattutto le partecipanze emiliane e i diritti di determinate classi di persone, le regole del Veneto e le comunità di originari….
– Il Comune – Nel sistema vigente, nelle aree in cui non siano costituite forme autonome organizzative (associazioni agrarie, università agrarie, domini collettivi riconosciuti, ecc.), ovvero non siano necessarie rappresentanze speciali — cosi in caso di conflitto di interesse, anche potenziale, fra l’ente gestore comunale e la collettività proprietaria (art. 75 r.d. n. 332, cit.) la gestione ordinaria dei beni collettivi è di norma affidata all’ente-comune. Il comune gestisce i beni della collettività, comprese le appartenenze originarie sub-comunali (frazionali), fino a quando non viene costituita l’amministrazione separata frazionale (art. 26, 2° co., 1. cit. e art. 64 reg. cit.) (Cass., sez. II, 18 dicembre 1952, n. 3233, in Giur. compl. cass. civ., 1952, III quadr., 1002, e in Foro it., 1953, I, 966; Cass., sez. II, 28 gennaio 1966, n. 345, in Giust. civ., 1966, I, 658, e in Foro it., 1966, I, 422).
La gestione ha luogo a norma delle leggi speciali in materia che derogano per espressa salvezza alla disciplina della legge comunale e provinciale (art. 84, 2° co., t.u. 3 marzo 1934, n. 383). Le leggi comunali anteriori non contenevano un’analoga norma di richiamo, ma si riteneva parimenti non potersi applicare ai beni delle popolazioni la disciplina propria dei beni comunali, cioè dei beni patrimoniali dei comuni: così le norme sull’affitto dei beni comunali ed in specie sulla vendita deibeni incolti (arti. 107 e 133 1. 15 ottobre 1859, n. 3702; artt. 112 s. 1. 20 marzo 1865, n. 2248; 1. 4 luglio 1874, n. 2011) e in dottrina Raffaglio G., [11] e Rannelletti O.
In pendenza delle operazioni di verifica e sistemazione delle terre e fino a che non siano formati i piani di gestione, i terreni soggetti al regime della legge del 1927 devono essere aperti alle utilizzazioni di tutti i cives salvo quelli su cui particolari categorie di persone hanno diritti riconosciuti per sentenza o leggi speciali (art. 26, 1° co., 1. cit.).
Invero le disposizioni della legge del 1927 sull’apertura indiscriminata delle terre produttive alla generalità dei cives (art. 26 1. cit.) e le norme sulla quotizzazione (artt. 15-24 1. cit.) provocarono in molte località, soprattutto del centro-nord, la reazione tenace e violenta di molte comunità di originali che hanno chiesto ed ottenuto, dopo lunghi conflitti giudiziali e politici, di staccarsi dalla gestione comunale (regole cadorine ed enti del Veneto e della Lombardia indicati all’art. 10 1. 3 dicembre 1971, n. 1102, c.d. legge-montagna.
– L’amministrazione separata frazionale. – L’amministrazione separata frazionale gestisce i beni frazionali a norma della legge comunale e provinciale con bilanci ed inventali separati, a profitto dei frazionisti, ed è soggetta alla sorveglianza del sindaco del comune che ne può rivedere i conti (art. 64, 3° co., r.d. n. 332 del 1928). La legge sulle autonomie locali (l. 8 giugno 1990, n. 142) ha mantenuto l’art. 84 del t.u. n. 383 del 1934 che, al 2° co., rinvia «per quanto concerne i terreni soggetti ad usi civici, alle disposizioni delle leggi speciali che regolano la materia». I demani civici e le proprietà collettive in genere continuano dunque ad essere soggette alle leggi speciali anche nel sistema della legge n. 142/1990.
Le amministrazioni separate sono rette da comitati di cinque membri eletti dalla generalità dei frazionisti tra i residenti iscritti nelle liste elettorali con le modalità di cui alla 1. 17 aprile 1957, n. 278 (che ha modificato l’art. 64 r.d. n. 332 del 1928). Alla convocazione dei comizi provvede la regione: in Toscana l’associazione intercomunale che ha una delega generale in materia (l. reg. 9 febbraio 1981, n. 15), in Emilia-Romagna la comunità montana (l. reg. 18 agosto 1977, n. 35). Nella Regione Trentino-Alto Adige le amministrazioni separate dei beni frazionali di uso civico hanno una regolamentazione specifica e diversa nelle due province di Trento e Bolzano.
– La speciale rappresentanza nei procedimenti contenziosi – Con le stesse modalità e su istanza del commissario-giudice si provvede alla nomina del comitato di amministrazione in tutti i casi in cui il commissario ravvisi un conflitto potenziale od attuale di interessi tra comune e frazione ovvero fra più frazioni dello stesso comune che non abbiano già una gestione separata (art. 75 r.d. n. 332 del 1928, cit., e art. 225 t.u. 4 febbraio 1915, n. 148, richiamato in vigore dall’art. 23 1. 9 giugno 1947, n. 530).
– Associazioni agrarie e università agrarie – Nel sistema della legge del 1927 sono confluite tutte le diverse forme di gestioni collettive autonome preesistenti come enti di fatto, riconosciute e non, negli ordinamenti anteriori: si tratta in genere di associazioni a struttura privatistica con propri statuti e regolamenti, di varia origine e denominazione. Non ci occupiamo qui delle associazioni di origine privata che sono state escluse dal regime della legge in modo espresso. Si tratta infatti di enti che gestiscono nell’interesse degli associati beni che appartengono agli stessi.
Tra le principali associazioni agrarie vanno indicate, oltre quelle dell’arco alpino che oramai per la maggior parte sfuggono alla legge n. 1766 del 1927 (art. 10 1. n. 1102 del 1971: c.d. legge-montagna), anche se riguardano possessi collettivi, le associazioni agrarie dell’Italia centrale, in specie le università agrarie e domini collettivi degli ex Stati pontifici, riconosciuti dopo vivaci lotte sociali con la 1. 4 agosto 1894, n. 397 (Grossi, P. Un altro modo di possedere). Questi enti, pur essendo stati formalmente recepiti nel sistema della legge n. 1766 del 1927, in effetti hanno perso, con l’apertura dei beni a tutti i cives e l’obbligo di quotizzazione delle terre produttive, la loro precipua finalità di gestioni collettive e sono stati per la maggior parte ridotti a vita grama e molti costretti a sciogliersi (art. 25 1. cit.).
N. B.: La 1. 4 agosto 1894, n. 397 è stata abrogata formalmente con il d.lgs. 13.12.2010 n. 212, di abrogazione di disposizioni legislative statali a norma dell’art. 14, comma 14 quater della legge 28.11.2005 n. 246.
La 1. 4 agosto 1894, n. 397, dichiarava obbligatoria la gestione collettiva delle terre derivanti dall’affrancazione degli usi, riconosceva alle stesse gestioni finalità imprenditoriali («coltivazione e godimento collettivo dei fondi, amministrazione sociale di mandrie e bestiame») e richiedeva agli utenti determinati requisiti di professionalità, ma nel contempo sottoponeva l’amministrazione sociale a regolamenti deliberati dall’assemblea degli utenti ed i regolamenti a controlli pubblici analoghi a quelli dei comuni: attribuiva infine agli enti poteri amministrativi di riscossione dei contributi e di accertamento delle inadempienze (artt. 2-8).
Il controllo pubblico, se da un canto ha avuto effetti conservativi del patrimonio di questi enti, dall’altro ha impedito quella elasticità di gestione che è indispensabile per enti che operano in regime di concorrenza. Sulla natura delle associazioni agrarie, specie per le università agrarie laziali, vi è stato divario giurisprudenziale perché la Cassazione per un certo periodo (fine anni ’50- 1980) aveva ritenuto poterle qualificare enti pubblici economici estendendo ai dipendenti i contratti collettivi di lavoro (Cass., S.U., 8 maggio 1957, n. 1577, in Giust. civ., 1957, I, 764) mentre la gestione era vincolata alle norme degli enti locali. Questa situazione contraddittoria è stata superata con Cass., S.U. 13 maggio 1980, n. 3135, in Giur. it., 1980, I, 1, 1128.
La 1. n. 397 del 1894 fu dapprima osteggiata e poi superata di fatto con la normativa del 1927/1928 che ne abrogò il regolamento (art. 63 r.d. n. 332, cit.) ed introdusse il diverso principio dell’apertura dei beni agli usi di tutti i cives, a prescindere dai requisiti di professionalità, sostituì alle gestioni la quotizzazione delle terre produttive e favorì lo scioglimento degli enti con bilanci deficitari e patrimoni insufficienti: i beni erano trasferiti ai comuni o frazione territorialmente competente (artt. 25 s. 1. n. 1766/1927).
Le associazioni agrarie conservate provvedono all’amministrazione e utilizzo dei beni originar! o pervenuti alle popolazioni a vario titolo, anche a seguito delle affrancazioni degli usi civici, a norma degli statuti e regolamenti loro propri (art. 58 r.d. n. 332/1928). Il regolamento del 1928 stabiliva un termine annuale per sottoporre a revisione statuti e regolamenti degli enti al fine di coordinarli con le disposizioni del 1927 e della legge comunale e provinciale (art. 59 r.d. n. 332).
La revisione, tuttavia, per la maggior parte degli statuti, non ha mai avuto luogo creandosi così situazioni incresciose anche perché l’imperatività delle norme di legge ha reso inoperanti le norme statutarie in contrasto.
La vigilanza ed il controllo sulle università agrarie conservate (assimilate dall’art. 26, 2° co., 1. cit. alle amministrazioni separate frazionali) e che un tempo erano funzioni esercitate dai Prefetti e G.p.a., con il d.P.R. n. 616/1977 sono divenute regionali, mentre i comuni hanno la vigilanza diretta sull’amministrazione dei beni civici (art. 78, lett. b, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616).
Anche il potere di indire le elezioni per la rinnovazione delle cariche sociali è regionale: in Toscana il potere è delegato alle associazioni intercomunali (1. reg. 9 febbraio 1981, n. 15), in EmiliaRomagna alle Comunità Montane (1. reg. 18 agosto 1977, n. 35).
Nelle province di Trento e Bolzano questi poteri sono esercitati dalle Giunte provinciali (art. 2 d.P.R. 17 luglio 1952, n. 1064: Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di usi civici).
– Gestione collettiva a disciplina differenziata
– Partecipanze emiliane e diritti di determinate classi di persone. – L’art. 26 della legge ha esonerato dall’apertura indiscriminata dei beni agli usi di tutti i cives i terreni soggetti a diritti particolari di categorie di persone derivanti da leggi speciali o da giudicati. Per l’esercizio di questi diritti possono essere adottati in sede ammini-strativa i provvedimenti più opportuni. In particolare il regolamento del 1928, cit., ha previsto un procedimento specifico per esonerare le associazioni agrarie, composte da determinate famiglie che possedessero esclusivamente terre atte a coltura e le avessero migliorate in modo so-stanziale e permanente, dall’applicazione del capo 2° della legge (e quindi dall’apertura dei beni agli usi dei cives e dalla quotizzazione delle terre produttive): di tale esonero si sono avvalse soprattutto le c.d. partecipanze emiliane (artt. 65 s. r.d. n. 332).
– Regole del Veneto e comunità di originari – Una legislazione specifica hanno anche ottenuto, dopo lunghe e complesse vicende giudiziarie e lotte politiche, particolari categorie di comunità di originari dell’alta e media Italia. La Cassazione infatti era stata sempre contraria a riconoscere origine e natura privatistica a queste associazioni (contra Bolla, G.G.; Romagnoli E.) ogni qualvolta era stato possibile accertare l’origine pubblicistica degli antichi patrimoni e l’interesse collettivo delle gestioni (Cass., 26 maggio 1937, n. 1695, in Foro it., 1937, I, 908; Cass., 5 agosto 1940, in Dir. beni pubbl., 1941, 143; Cass., 24 aprile 1954, n. 1248, in Giust. civ., 1954, 908; Cass., 27 novembre 1954, n. 4329, in Foro it., 1955, I, 171).
Furono dapprima le sole Regole della Magnifica Comunità Cadorina ad essere disciplinate in modo autonomo con il d. legisl. 3 maggio 1948, n. 1104, che tuttavia le qualificava persone giuridiche di diritto pubblico e poneva vincoli specifici di destinazione e di gestione ai beni agro-silvo-pastorali (Pototschnig, U., [32], definì le regole cadorine enti privati di interesse pubblico); quindi le regole ampezzane di Cortina d’Ampezzo, quelle del Comelico, le società di antichi originari della Lombardia e le servitù della Val Canale furono esonerate in modo espresso dalla legge usi civici ed incluse nella categoria delle comunioni familiari montane dall’art. 10 1. 3 dicembre 1971, n. 1102 (c.d. legge-montagna).
L’art. 11 della stessa legge ha tuttavia anch’esso confermato il regime di indisponibilità dell’antico patrimonio delle comunioni intavolato prima del 1952 vincolandone la destinazione alle attività agro-silvo-pastorali: il mutamento di destinazione è consentito solo per fini turistici con l’obbligo della conservazione, a mezzo sostituzione, della primitiva consistenza forestale. La gestione di questi beni resta quindi sottoposta ad un controllo pubblico assai specifico e non solo la pubblicità degli statuti ma anche la nomina dei rappresentanti legali è disciplinata da regolamenti regionali.
– Gli enti gestori diventano imprese
Per quanto attiene il regime giuridico degli enti gestori occorre ora avere presente i nuovi criteri e principi introdotti con la legge montagna n. 97/1994 per le zone montane:
L’art. 3 della 1. 31 gennaio 1994, n. 97 nell’indicare i principi in base ai quali le regioni provvedono al riordino della disciplina delle gestioni dei patrimoni agro- silvo-pastorali in proprietà collettiva indivisibile ed inusucapibile, ha previsto la possibilità di conferire a dette gestioni “la personalità giuridica di diritto privato”, secondo modalità da stabilirsi con legge regionale, sul modello delle comunioni familiari montane di cui all’art. 10 della legge-montagna n. 1102 del 1971. L’attuazione della legge è affidata alle regioni.
Può essere così abbandonato il modello pubblicistico riconosciuto ex lege alle regole del Cadore (d.lgs. 3 maggio 194S. n. 1104), ed esteso dalla giurisprudenza della Cassazione degli anni ’80 alle università agrarie del Lazio, qualificate dagli stessi giudici per lungo tempo enti pubblici economici. Con la legge 97 le comunità titolari degli antichi patrimoni agro-silvo-pastorali diventano gestori privati con autonomia statutaria, le gestioni devono essere produttive e sono soggette alle leggi del mercato. È una vera rivoluzione in una materia dove il carattere imprenditoriale e la autonomia statutaria dell’ente va conciliata con il regime pubblicistico di tutela e conservazione dell’antico patrimonio agro-silvo-pastorale.
Non sono molte le regioni che hanno dato attuazione alla legge n. 97/94, per quanto attiene la gestione dei patrimoni agro-silvo-pastorali in proprietà collettiva: mentre l’Umbria (lr.. 28 agosto1995, n. 40) e la Basilicata (1.r: 19 maggio 1997, n. 23) si sono limitate a poche norme di principio rimandando a leggi successive il riordino delle comunioni montane, il Friuli-Venezia Giulia (l.r. 5 gennaio 1996 n.3) ha emanato norme specifiche per la gestione, il coordinamento con gli enti locali ed i poteri delle associazioni; il Veneto, con la l.r. 19 agosto 1996, n. 26 sul riordino delle Regole, ha confermato la gestione del patrimonio antico secondo la consuetudine, le nottue statutarie e le leggi forestali statali e regionali (art. 12).
La Regione Molise con la l. reg. 23 luglio 2002 n.14 ha previsto la costituzione delle ASBUC e ha fissato un termine per l’emanazione di un regolamento, ma finora non ha avuto attuazione.Come si è detto, nelle regioni meridionali dìItalia è mancata la cultura delle gestioni associate.
L’Abruzzo, con la l.r. 18 maggio 2000 n. 95, all’art.17, ha stabilito che alle organizzazioni montane che gestiscono i patrimoni agro- silvo-pastorali in proprietà collettiva, può essere attribuita “ per loro richiesta, la personalità giuridica di diritto privato, previa verifica della sussistenza dei presupposti in ordine ai nuclei familiari ed agli utenti aventi diritto ed ai beni oggetto della gestione comunitaria”.
Il Lazio finora non si è occupato, del problema, nonostante che l’art. 3 della 1. 97 segni un ritorno, quanto mai significativo, ai principi ed al sistema imprenditoriale della 1. 4 agosto 1894, n. 397 sulle università agrarie.
Sul nuovo sistema di gestione degli enti gestori delle terre civiche dopo la legge 97/94, è molto interessante la relazione al Convegno di Trento del 1998 di Luca De Lucia su “Le terre civiche tra l’istituzionalizzazione del territorio e il declino dell’autorità locale di sistema” (Atti del Convegno in Archivio Scialoja Bolla).